Prima del terremoto del 1908 i “ciaramiddhari” o i “sonaturi orbi” con chitarra e violino girovagavano per le strade di Messina. C’era anche il “picciottu”, che ridondava la loro musica con l’”azzarino”, triangolo. Era il motivo che designava l’atmosfera natalizia. A Messina il Natale era fatto, come diceva Guido Gozzano nella poesia “L’amica di nonna speranza”, “di piccole cose di pessimo gusto”, ma buone. Erano ciò che arricchivano il cuore di letizia, amore e serenità. C’erano le “cone”, piccole grotte, col Bambino Gesù, allestite nelle putìe, botteghe, nelle case e nelle vie. I “sonaturi orbi” e “ciaramiddhari” cantavano e suonavano la novena.
Oggi i ciaramiddari, quelli veri, sono davvero pochi. I messinesi vorrebbero conoscerli!. Poi si intravvedevano i vecchi ciechi dagli strani soprannomi: “Ammazzapadre”. Si può ricordare il suonatore di liuto, Carmelo Laurino, vestito di nero, con un cappello a cilindro, sopra il berretto di seta. Un altro personaggio era “Cappiddazzu”, don Lio Corso, che col violino cantava la novena di Natale. Egli, tuttavia, faceva cenno di dare la “strina” o strenna, mancia, al “picciottu”, che lo sosteneva. Il picciotto urlava: “E sanari a lu picciottu, s’arripezza lu capottu”. “Sanari”, riferendosi alla moneta, al garzone, si rattoppa il cappotto, come a far capire che ogni aiuto economico serve.
Nelle case si preparava il “presepe” che, già prima del terremoto del 1908, era preceduto all’albero di Natale. Nelle case signorili oggi predomina la moda dell’albero di Natale fastoso, diverso dalla tradizione. La gente comune è indifferente ad esso. Spesso si guarda la fastosità dei sentimenti e del ritrovarsi insieme in famiglia.
C’erano i Presepi che agli inizi del Novecento competevano per la loro magnificenza e laboriosità. Viene rammentato il cavaliere Calamarà che lo dilagava in sette stanze. Mentre Salvatore Bensaia, lo predisponeva nella sua umile casa del borgo Portalegni. Era adornato da fili telegrafici, locomotive a vapore e garibaldini che giocavano sotto il pergolato, presso un’osteria. Ricordi di Natale, insomma, in oggetti preistorici.
I messinesi, come era rito, andavano a pregare nella chiesa di San Gioacchino. Era il Santo Bambinello, che aveva pianto prodigiosamente per circa 11 anni, dal 1712 al 1723, dove oggi viene protetto nella chiesa di Gesù e Maria delle Trombe.
Ricordi di un tempo, che rendono meno amaro il presente, tanto informatico e tecnologico, ma pur sempre coinvolto da guerre e malattie, che fanno sognare il nostalgico passato.