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Sting, magia all’Auditorium Parco della Musica

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Il concerto dell’ex frontman dei Police ha fatto registrare il tutto esaurito alla Cavea nel live “My Songs Tour”. Ad aprire la performance il figlio Joe Sumner che si è esibito con alcuni brani da solista.

L’Englishman lo ha fatto di nuovo, ha appassionato con i brani del periodo Police e del repertorio da solista. In tanti lo hanno acclamato, giovani e meno giovani, fan incalliti e assidui, e ascoltatori meno avvezzi alle sue note.
Sting, accompagnato dalla sua band, ha proposto una scaletta di canzoni in grado di soddisfare ogni palato presente alla mitica Cavea, location dalla quale mancava da cinque anni, nell’ambito del Roma Summer Festival.
Ad aprire il concerto è stato il figlio di Sting, Joe Sumner, che ha ingannato l’attesa per una buona mezz’ora. Il “pungiglione” assieme alla band (composta dallo storico chitarrista Dominic Miller, dal batterista Zack Jones, dai coristi Gene Noble e Melissa Musique, da Chewi Sager all’armonica, e dal tastierista giamaicano Kevon Webster) esce allo scoperto alle 21,15 iniziando col botto: Message in a bottle, pietra miliare rock e manifesto del sound inconfondibile dei Police, ha riscaldato subito l’ambiente. Seguono Englishman in New York e Every little thing she does is magic: una doppietta niente affatto male! La storia dei Police e quella dello Sting solista si intrecciano inesorabilmente, rievocando un passato glorioso costellato da successi senza tempo che fanno sognare i giovani e i meno giovani. Questa è musica senza tempo, che solo l’esperienza del pungiglione può vivificare con arrangiamenti sempre nuovi e piacevoli da ascoltare: è il messaggio implicito dell’album My Songs.
Non c’è dubbio che siano i vecchi successi a far saltare dalle sedie gli spettatori, incontenibili persino per gli steward; ma anche i pezzi più attuali conquistano tutti: è il caso di If it’s love, For her love/Amore (con ospite Giordana Angi) e Rushing Water.
E si ritorna indietro nel tempo con If I ever lose my faith in you e la evocativa Fields of gold, due diamanti di quel capolavoro che fu Ten Summoner’s Tales del 1993. Sting ringrazia (in italiano), e prosegue la cavalcata dei suoi successi con Brand New Day, pezzo inciso nel 1999 con “l’aiuto” della armonica di un certo Stevie Wonder: molto simpatico il siparietto con Chewy Sager, sfidato ad emulare il grande Wonder. Dopo Shape of my heart ed Heavy cloud no rain, accompagnate rispettivamente dalle voci di Gene Noble e Melissa Musique; la nostalgica Why should I cry for you e Mad about you spalancano le porte al ritorno ai successi del periodo d’oro dei Police con King of pain, So Lonely (arricchita dal medley con No woman no cry di Bob Marley) e Walking on the moon: il pubblico è letteralmente in visibilio, anche perché dopo arriva la sensuale Desert Rose.
King of pain è la perla di Synchronicity, album magnifico che conteneva anche Every Breath You Take, forse la più attesa dal pubblico.
Il concerto si chiude con l’immancabile Roxanne, e Fragile.
L’artista inglese e la sua band abbandonano il palco osannati dal pubblico che ha assistito ad uno spettacolo unico messo in scena da uno dei grandi interpreti della storia contemporanea della musica. A vederlo sembra un ragazzino che ancora si diverte a far gioire il suo pubblico. Eppure, questo signore tra pochi mesi compirà 72 anni, ma siamo certi di rivederlo presto ad incantare i fortunati che parteciperanno ad un suo show.

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