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Un ricordo di Pippo Pracanica

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Il fatto di essere antimilitarista, naturalmente, non mi impediscei ricordare i nostri eroici caduti e di onorarli. Pertanto riterrei più giusto che il 4 novembre invece della Festa delle Forze Armate, con le conseguenti inutili parate, diventasse il giorno della memoria che, come affermava Sant’Agostino, è il presente del passato. Sono antimilitarista, non per seguire questa o quella ideologia, oggi di moda, ma perché ho vissuto sulla mia pelle la più terribile ed odiosa delle guerre: la guerra civile. A dieci anni ho visto mio padre finire di fronte al plotone di esecuzione e fu solo per l’intervento della Divina Provvidenza, in cui profondamente credeva, a salvarlo. 
In quegli anni, 1940-43,  non erano stati lasciati tranquilli neppure i dipendenti pubblici siciliani, dai consiglieri di Corte d'Appello ai più modesti funzionari, specie in un momento in cui si tentava di ricompattare le famiglie per meglio affrontare le evidenti avversità dei tempi. Era stato il telegramma-circolare n. 59243 del 5 maggio 1941 ad ordinare a tutti i ministeri che "dagli uffici della Sicilia debbono essere entro breve termine allontanati tutti i funzionari nativi dell'Isola. Ciò nell'interesse del servizio e degli stessi funzionari. Provvedere in conformità assicurando. Mussolini".  
Anche mio padre rimase vittima di tale odiosa disposizione e venne trasferito, già nel 1942,  a Firenze. Ritornò a prenderci, mia madre e me, il 2 luglio 1943. Quel giorno  a bordo di una barca a remi, le navi traghetto erano state tutte affondate o messe fuori uso, da Torre Faro raggiungemmo Bagnara Calabra. Quella ingiusta ed odiosa disposizione ci portò ad errare per quasi due anni da una regione all'altra: Poggibonsi (SI), Vercelli, Thiene (VC), Milano, Erba e Rogolea di Costamasnaga(CO). Il ritorno in Sicilia, a metà maggio del 1945, avvenne a bordo di un autocarro, che riuscì ad attraversare il Po, i cui ponti erano stati tutti distrutti, utilizzando un pontone, E dopo sei giorni di inenarrabili vicissitudini.
A fare precipitare la situazione fu, l’8 settembre del 1943, quando un re fellone che, attorniato da generali della stessa risma, scappando abbandonò al suo destino un popolo intero, compresa sua figlia Mafalda, internata e poi morta nel bordello del  campo di sterminio di Buchenwald,. Da quel momento la guerra civile fu inevitabile. 
L’episodio a cui accennavo prima avvenne il 28 aprile del 1944. Quel giorno compivo 10 anni e ci trovavamo a Thiene. Eravamo a casa, quando, improvvisamente una pattuglia di Brigatisti Neri, con modi violenti, venne a prelevare mio padre. Mia mamma ed io, terrorizzati, scoppiammo in un pianto irrefrenabile, allora mio padre, mentre veniva strattonato e trascinato via a forza ci gridò “non vi preoccupate, a voi penserà la Divina Provvidenza”. Ma la Divina Provvidenza, in cui aveva una fede incrollabile, pensò anche a lui. Andati via i fascisti ci precipitammo subito fuori casa e trovammo un paese in subbuglio. Cosa era successo? Alle 10 di quel mattino un partigiano dei GAP (Gruppi di Azione Patriottica), arrivato in bicicletta, era entrato nella farmacia del paese ed aveva chiesto un analgesico. Quando il farmacista si era chinato per prenderlo gli aveva sparato in testa, uccidendolo sul colpo. Poiché il farmacista, il dott. Mario Dal Zotto, era anche il Commissario Prefettizio del comune di Thiene, i fascisti si riunirono subito e decisero di fucilare 10 antifascisti. Mio padre non era antifascista, era solo uno che, in un periodo in cui era meglio stare zitti, esternava schiettamente quello che pensava, ma qualcuno si era sentito in dovere di segnalarlo come antifascista. Quando il sott’ufficiale della  Wermacht, che comandava il presidio di Thiene, seppe della rappresaglia decisa dai fascisti si oppose, temendo il rinfocolarsi di odi e vendette, per cui si recò al comando tedesco di Vicenza, che intervenne imponendo  di sospendere la fucilazione e di trasferire gli arrestati nelle carceri di Vicenza. Prima però i fascisti theniesi vollero dar loro una lezione e li portarono con un camion al cimitero dove, dopo averli allineati davanti al muro di cinta, simularono una esecuzione. Quindi proseguirono per le carceri di Vicenza. Per aver conferma che i miei ricordi non mi ingannassero, mi sono fatto mandare dalla bibliotecaria di Thiene un opuscolo che ricordava l’episodio. Solo mio padre, senza motivazione alcuna, lui pensò subito alla Divina Provvidenza, venne lasciato libero di tornarsene a casa, dove eravamo in straziante attesa. A proposito di antimilitarismo è bene anche ricordare quale fu il comportamento di molti alti ufficiali delle Forze Armate durante l’ultima guerra. Nel libro dell'ammiraglio Maugeri, pubblicato in lingua inglese da un editore americano [From thè Ashes of Disgrace, New York, 1948] si legge che “L'ammiragliato inglese aveva una quantità di amici tra i nostri ammiragli di alto rango e nello stesso ministero della marina, io sospetto che gli inglesi erano in grado di ottenere informazioni autentiche dalla fonte”. Rivelazione gravissima, come si vede, tanto più grave in quanto proveniente da una fonte qualificata: da colui che fino all'armistizio fu a capo dell'ufficio informazioni della marina, cioè il controspionaggio. Solo così si spiega come un incrociatore leggero e due cacciatorpediniere di stanza a Malta, nei primi trenta giorni della guerra riuscirono ad affondare dieci sommergibili italiani. Sapevano dove trovarli! 
 Questi avvenimenti mi hanno spinto a dedicare il  libro da me scritto su quegli anni “A tutti coloro che persero la vita, durante il conflitto 1940-43, per la fellonia ed il tradimento di alcuni ammiragli ed ufficiali della regia marina”. Non a caso gli Alleati, per tutelare tutti costoro, nel trattato di pace, ci imposero il vergognoso art. 16 “L'Italia non incriminerà né altrimenti perseguiterà alcun cittadino italiano, compresi gli appartenenti alle forze armate, per solo fatto di avere, durante il periodo di tempo corrente dal 10 giugno 1940 all'entrata in vigore del presente Trattato, espressa simpatia od avere agito in favore della causa delle Potenze Alleate ed Associate”. 

Giuseppe Pracanica

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